Finalmente in arrivo la nostra seconda uscita in formato e-book, in tutte le principali librerie online da lunedì 29 maggio 2017:
Storie di letteratura e cecità di Julián Fuks, autore vincitore del Prêmio Jabuti, il più importante riconoscimento letterario brasiliano.
STORIE DI LETTERATURA E CECITÀ è un ibrido tra saggio e narrativa. A partire dalla vita e dalle opere degli scrittori Jorge Luis Borges, João Cabral de Melo Neto e James Joyce, Julián Fuks riunisce piccoli frammenti di vita di ciascuno degli autori, che condividono il tema della cecità, precoce o tardiva.
Scene della creazione di poesie, racconti, saggi e romanzi sono affrontate in modo insolito e originale, come una narrativa che racconta un’altra narrativa. Nelle parole dell’autore, “ciò che queste storie trasmettono è l’esistenza di un rapporto molto personale, privato e particolare con la cecità. C’è chi riesce a rendere tale condizione quasi un attributo, una condizione che offre una peculiarità (e pertanto quasi apprezzabile, in un mondo così omogeneo) e chi si lascia abbattere dalle impossibilità che provoca, senza mai riuscire a superare tale frustrazione”.
Jorge Luis Borges, miope fin dall’infanzia e affetto dagli stessi disturbi visivi del padre, conosceva bene il male che il destino gli aveva riservato e, con gli anni, riuscì a scendere a patti con la sua condizione. Era pertanto preparato e, chissà, quasi riconoscente per il tempo che gli era stato concesso, dato che la cecità lo colse quando aveva ormai 56 anni. Nel frattempo era riuscito a erigere l’infrastruttura di cui aveva bisogno: la madre, la sorella e gli amici che aveva vicino furono sempre pronti a leggere per lui tutto ciò che desiderasse, così come a mettere su carta tutto ciò che uscisse dalle sue labbra, saggio o verso che fosse. In poco tempo, quella pratica si sarebbe convertita in rituale, proseguendo per i successivi trent’anni.
Per João Cabral de Melo Neto, la storia fu molto diversa. La cecità lo colse di sorpresa e oscurò gli ultimi sette anni della sua vita, che trascorse confinato tristemente in un appartamento sulla spiaggia del Flamengo, quartiere di Rio de Janeiro. Finì per non scrivere praticamente più nulla, mostrando enormi difficoltà nel concentrarsi sull’ascolto, di modo che tutto ciò che gli veniva letto finiva per arrecargli sofferenza. La cecità rappresentò pertanto la fine della sua vita dedicata alla letteratura.
James Joyce, infine, ebbe un rapporto peculiare con la cecità, essendo stata contrassegnata da dolori acuti e improvvisi e dal ricorso a svariate operazioni praticamente inutili. A causa di alcune superstizioni trasmessegli durante l’infanzia e dell’educazione contrassegnata da un cattolicesimo particolarmente rigido, ritenne sempre la cecità un castigo divino, una sorta di punizione per i peccati passati e per la sua vita sregolata e tumultuosa. Pertanto, Joyce finì per maledire la propria condizione senza però mai arrendersi ad essa, cercando di ignorarla anche nei momenti più critici per poter continuare a lavorare sulle sue opere. Si sforzò quindi di dettare, rileggere per quanto gli fosse possibile o chiedere ad altri di leggere per lui. Tutto ciò risulta evidente nell’ossessiva ostinazione con cui si dedicò alla scrittura.