Riportiamo un estratto dal racconto Tutte le risposte sull’affascinante mondo delle termiti, di E.G. Humberto Sacristán, scritto da Wilmer Urrelo e tradotto dallo spagnolo da Giacomo Falconi:
Però prima, signore, mi permetta di raccontarle come si sono svolti i fatti: la mattina in cui squillò il telefono, la prima ad alzarsi fu mia moglie. La sentii imprecare nel sonno come faceva sempre in quei casi. Tirò fuori dal più profondo del suo essere il tipico “chi è che rompe i coglioni a quest’ora!”. Poi alzò la cornetta e dopo aver detto “pronto” e aver ascoltato per un momento disse:
—Ah, sei tu.
Poi restò in silenzio per qualche secondo. Ascoltò annoiata, fino a quando intuii che qualcosa stava cambiando sul suo volto. Dico “intuii” perché in realtà non riuscii a vederla del tutto. Ero mezzo addormentato e senza occhiali, e senza quelli sono mezzo cieco (ho nell’occhio destro -8.5 di sfera, 2.50 di cilindro e cinque gradi di asse; nel sinistro -9 di sfera, 2.00 di cilindro e 180 di asse; sono miope, astigmatico e fotofobico: è con questo essere umano che è sposata mia moglie).
—Sì, è qui —andò avanti infastidita—. Ora te lo passo.
Inclinò il corpo in avanti e mi passò la cornetta. Non appena la avvicinai all’orecchio sentii la voce di mio fratello:
—È mamma —mi disse senza tanti preamboli—. È successo ieri, mentre si faceva il bagno. Non sono riuscito a chiamarti prima. Sarebbe bene che venissi.
Non dissi nulla. Mi limitai a osservare l’immagine sfuocata di mia moglie: seduta sul bordo del letto, stava aprendo il cassetto del comò per prendersi una sigaretta. Mentre l’accendeva (lei sapeva quanto odiavo che mi fumasse vicino, così come io sapevo che lei mi tradiva, anche se lei pensava che non lo sapessi) mi guardò e pensai di notare una traccia di compassione.
—Ci sei ancora? —disse mio fratello.
—Sì —risposi, mentre cercavo di sedermi più comodo.
—Pensi di venire?
—Non so, suppongo di sì —dissi in modo confuso—. Come sta papà?
Ci fu un lungo silenzio dall’altro capo della linea.
—Non saprei —disse infine—. Quando lo abbiamo saputo, mi ha detto di volerti avvisare personalmente. Poi ha cambiato idea e mi ha detto che sarebbe stato meglio se fossi stato io a dirtelo —e pensai: tra i due sei sempre stato tu il suo preferito—. Ora è in macchina —ci fu un altro silenzio. Mi immaginai mio fratello che rivolgeva un’occhiata a mio padre dalla cabina telefonica o da dove mi stava chiamando—. Sta bene, credo.
—Allora ci vediamo lì —dissi.
—Allora ci vediamo lì —ripeté mio fratello e riagganciò.
Quando riagganciai la cornetta mia moglie spense la sigaretta.
—Mi dispiace davvero —disse—. Non so cosa dire in questi casi. Credo che non valga la pena dire nulla.
Tirai fuori il resto del corpo dal letto e, in quel momento, il libro che avevo letto la sera prima, e che era rimasto tra le coperte, cadde a terra. Tutte le risposte sull’affascinante mondo delle termiti , di un certo E.G. Humberto Sacristán.
(Apro qui una parentesi per dirle che sono un avido lettore e che stavo leggendo quel libro proprio perché le termiti stavano divorando i ripiani in legno della mia biblioteca: si immagini quasi ventimila volumi a rischio di finire per terra. Così pensai che forse quell’E.G. Humberto Sacristán avrebbe potuto fornirmi le risposte su come sbarazzarmi di loro.)
Mi feci strada a tentoni fino alla credenza di fronte a me, dal cui cassetto tirai fuori l’astuccio degli occhiali. Tirando la maniglia il cassetto venne fuori completamente: finì in terra, rompendosi in due pezzi e mancando di poco le dita dei piedi. Mia moglie disse da dietro le spalle: «termiti. Sono apparse prima che…» . Tagliai corto rispondendole «va bene, va bene, capisco». Li tirai fuori e li indossai. Il mondo tornò così a farsi visibile. Girai la testa e vidi mia moglie. Era molto bella, come sempre, pur essendo struccata. Era molto bella, anche se mi tradiva. E così mi dissi: hai la fortuna dalla tua, come hai fatto a trovartene una così bella?
—Parto subito —le dissi con risolutezza—. Se non hai nulla da fare potresti anche accompagnarmi. Sarebbe la cosa più semplice.
Lei si guardò i piedi nudi, si diede una sistemata ai capelli e disse:
—Speriamo che tuo padre non faccia una scenata…
—Non credo che sia dell’umore giusto —risposi—. E in famiglia non amiamo le scenate (falso), tu lo sai. Allora andiamo?
—Prima devo chiamare Pato —il suo capo, si chiamava Patricio, ma per tutti era Pato, ovvero, per essere più specifici: quello con cui mi tradiva. Lei credeva che non lo sapessi e invece lo sapevo—. Vediamo se può darmi un permesso.
Non risposi nulla. Andai in bagno e, mentre mi levavo il pigiama, ascoltai mia moglie parlare al telefono (con Pato, pensai). Non mi misi ad ascoltarla attentamente perché, qualche mese prima, qualcuno (un uccellino senza volto) mi aveva sussurrato la verità all’orecchio destro. Io sapevo che mi tradiva, ma lei credeva che non lo sapessi. Così, aprii il rubinetto della doccia e mi misi sotto il getto dell’acqua, per poi rendermi conto che non mi ero ancora tolto gli occhiali. E anche che mia madre era morta.
La versione integrale del racconto è contenuta in Malasorte – Traviesa 1.