A persone d’alto e penetrante intendimento nelle belle Arti e nelle ottime facoltà egregiamente istruite, ad uomini amanti delle altrui felicità più che delle sue io punto non dubito di azzardarmi a dirigere la presente mia Memoria sulle Tinte naturali che si estraggono dalle cortecce dei legni nostrali d’Italia. Sembrerà forse strano e sorprendente, che una sì tenue mia produzione vada fregiata degli Auspicj della rinomatissima ed eruditissima Società Agraria di Reggio in Lombardia immersa nella folla di tante rilevanti vantaggiosissime scoperte e teorie all’uman genere, quali presso che ne assorbiscono tutti i pensieri e le cure loro. Cesserà tutta volta la maraviglia, se si rifletterà che a persone nate al bene e decoro de’ loro simili si spetta esclusivamente non solo il formare a pro e lustro di essi de’ vasti ragionati disegni, e lo spiegar fermo coraggio bastevole per eseguirli felicemente, attraverso delle molte difficoltà che non vanno mai disgiunte dalle straordinarie intraprese; ma ancora il non perder giammai di vista alcuno di quegli oggetti i quali, comunque piccioli in se medesimi, divengono sempre importanti per la pubblica felicità, sviluppati che sieno e posti in tutta quella energia di cui sono capaci.[…]
La combinazione della locale mia situazione ed il caso ha fatto sì, che venissi in cognizione potersi estrarre dalle Cortecce di qualsivoglia Albero nostrale delle tinte ottime, delle tinte di moda, e delle tinte le quali punto non ismontano, non tingono le mani, le carni, le biancherie, e non iscoloriscono; delle tinte in fine, che penetrate o da oglio o da acidi anche minerali possono ripulirsi, possono lavarsi senza che punto perdano di loro vivacità, che anzi si ripurgano e divengono migliori. Da cinque anni e più fattomi abitatore di un Eremo situato alla parte orientale della selvaggia ed altissima Montagna del Catria a tutt’altro per professione era intento, fuorché alle speculazione ed allo studio di Storia naturale; nulladimeno nelle ore che alla giornata sopravanzavanmi dalle occupazioni che mi incombevano, e dal disbrigo degli affari miei, lungi dall’abbandonarmi all’ozio ed all’infingardaggine, mi sono sempre procurato un divertimento ed un sollievo nella contemplazione della bella natura e nei fisici esperimenti, che vedeva poter poi un giorno riuscire utili e vantaggiosi al pubblico e specialmente alla nostra Italia. Comprendeva ad evidenza essere infelicissima la vita e quasi somigliante a quella de’ bruti, di quegli uomini, i quali neghittosamente passano in vile ozio il tempo, sene stanno pigri e lenti contando i giorni e gli anni senza procacciarsi alcuna opera degna d’ingegno e senza oprare alcuna sorte di bene. Quindi ne avvenne, che credetti di dover in questa vasta solitudine impiegare il mio tempo, i giorni miei nell’erudizione mia, nel procurare una qualche utilità, un qualche bene al pubblico.