di Pablo Melicchio
Vi diamo il benvenuto alla fondazione “La vida elemental”
Centro di assistenza per persone diversamente abili
Chiche avanza con passo sostenuto verso la fattoria sul cammino fangoso. Spinge con fatica una carriola sgangherata, che di tanto in tanto si blocca. Arriva fino al vecchio albero di ombú, vicino al pollaio, raccoglie le foglie che aveva precedentemente ammucchiato e continua a camminare, parlando da solo e a voce alta.
«Il dottore ha detto a Chiche che fa molto bene camminare. È un peccato che alcuni dei suoi compagni non possano girare per la fattoria e rimangano rinchiusi nella sala da pranzo, dondolandosi e ingoiando il moccio. Chiche deve pulire la fattoria e mettere mangime e acqua puliti negli abbeveratoi. Deve anche controllare che gli animali stiano bene, perché gli animali, come gli esseri umani, possono ammalarsi. Chiche non sa la matematica, non sa nemmeno l’inglese; dicono che abbia una disabilità, anche se lieve. Nella sua testa ci sono degli insetti che mangiano le sue idee, ma si occupa comunque della fattoria e anche di trasportare Rosita spingendo la sedia con le ruote. Chiche un giorno diventerà un medico e curerà Rosita, così camminerà come tutti gli altri».
Chiche lascia la carriola da una parte, apre la porta di legno della fattoria ed entra per distribuire il mangime e cambiare l’acqua negli abbeveratoi. Saluta il gallo alzando la mano sinistra e piegando leggermente la testa, come se si stesse allentando una cerniera. Cammina in avanti e sorride quando incontra tre pulcini appena nati. Raccoglie tre uova e le mette nella tasca anteriore del suo camice. D’improvviso, si sorprende: trova un’oca sdraiata dietro un tronco caduto.
«Stia tranquilla, signora oca» dice all’animale mentre lo accarezza. «Presto arriverà il dottor Eduardo. La signora oca sembra proprio malata, gli occhi le si chiudono e il collo si piega. Forse le succede come a Chiche, forse anche lei ha degli insetti dentro la testa. Povera signora oca».
Finito il suo compito, esce dal pollaio, chiude la porta di legno, afferra di nuovo la carriola e riparte, perlustrando il cortile con gli occhi e controllando che tutto sia in ordine. Ma si ferma di colpo quando percepisce il bzzz, la vibrazione sotto i suoi piedi. Si guarda intorno. Sorride mentre la testa si abbassa lentamente, come se la cerniera si allentasse di nuovo, e si inginocchia a terra.
«Salve, signora Dolores».
«Ciao, Chiche».
«Chiche deve portare la signora oca da Eduardo, il dottore degli animali, così può curarla».
«Molto bene, Chiche, è bellissimo che tu sia sempre così attento a ciò che succede agli animaletti della fattoria».
«Chiche deve essere attento, così può continuare ad occuparsi della fattoria».
«Sei la persona più attenta che abbia mai conosciuto in tutta la mia vita, la mia breve vita…» risponde Dolores, e subito viene travolta da una serie di pensieri tristi. La sua voce si mescola al fango.
«Signora Dolores, a Chiche piace lavorare, ma gli piacerebbe di più stare fuori con Rosita, come i fidanzati che passeggiano per strada».
«Tutto a suo tempo Chiche, tutto a suo tempo».
«Chiche! Chiche! Cosa stai facendo?» grida l’insegnante di ceramica mentre avanza in fretta sulla strada fangosa.
«No! Che brutto odore… è il maestro di ceramica» avverte Chiche, allarmato.
Si alza, prende la scopa e inizia a spazzare energicamente, quasi esagerando.
«Chiche, cosa stavi facendo?» chiede l’insegnante mentre si guarda attorno, cercando degli indizi.
«Maestro, Chiche si sta occupando della fattoria, come sempre».
«Mm, Chiche, Chiche… non mentirmi. Ti sto tenendo d’occhio da un po’, stai di nuovo parlando da solo?» incalza l’insegnante mentre posa il suo sguardo indagatore sul suolo, dove le formiche, indifferenti, continuano a svolgere i loro compiti da formiche.
«Mi scusi, maestro di ceramica, ma Chiche non sa mentire» risponde mentre continua a spazzare le foglie secche, con i suoi pensieri rivolti alle voci di sotto, al silenzio che deve mantenere per loro, ma anche per sé stesso, perché non gli aumentino il dosaggio dei farmaci.
L’insegnante, confuso dal comportamento di Chiche, smette di indagare, prende il cellulare dalla tasca dei pantaloni e invia un messaggio.
«Bene, spero sia così… è il momento del laboratorio di ceramica, oggi dipingeremo i vasi da fiori che abbiamo preparato ieri. Il tuo è venuto benissimo. Dobbiamo muoverci, così li finiamo in tempo per regalarli ai genitori per la festa di primavera».
«Mi scusi, maestro di ceramica, ma Chiche non ha genitori che lo vengano a trovare».
«Allora perché non regali il vaso a Rosita o alla sua famiglia, che ne dici?» ribatte il professore, un po’ titubante, mentre rimette il telefono in tasca.
«Mi piacerebbe molto regalarlo a Rosita, perché Rosita e Chiche sono come due fidanzati, così dicono».
«Bene, allora finisci il tuo lavoro in fattoria e poi dritto al laboratorio, ti aspettiamo; fai in fretta però, i tuoi compagni stanno già entrando».
«Sì, maestro di ceramica, Chiche arriva subito».
«Molto bene» risponde il professore, mentre si avvia verso il laboratorio a passo sostenuto.
Chiche continua a spazzare ammucchiando escrementi, foglie e rametti secchi accanto al vecchio albero di ombú. D’improvviso sente il bzzz, di nuovo il segnale, la vibrazione sotto i suoi piedi. Interrompe la sua attività ed entra in connessione con la voce.
«…Dietro le pareti costruite ieri per te t’imploro comunque di respirare. Mi appoggio con le spalle mentre spero che mi abbracci attraversando il muro dei miei giorni. E raschia le pietre… raschia le pietre… e raschia le pietre fino ad arrivare a me.»
«Chiche ascolta ancora una volta la canzone che la signora Dolores intona sempre. Che meravigliosa voce che ha la signora Dolores. Continui, signora Dolores, continui a cantare la canzone della pietra» chiede Chiche, appoggiandosi sulla scopa come se fosse un bastone.
«…Appena percettibili, ascolto le tue parole, si avvicinano le band rock ‘n’ roll e scuotono leggermente le pareti consumate, e sento la tua voce domandare. E raschia le pietre… E raschia le pietre… E raschia le pietre fino ad arrivare a me’».
«È molto triste ciò che racconta la canzone, signora Dolores, ma a Chiche sta succedendo qualcosa… qualcosa che non può ricordare per colpa degli insetti che vivono dentro la sua testa».
«In realtà non ho una bellissima voce, ma non mi interessa, canto lo stesso, mi fa stare bene. Nei momenti più duri della mia vita c’è sempre stata una canzone che mi ha aiutata a resistere».
«La canzone della pietra è meravigliosa e triste, come Rosita quando piange».
«È di un gruppo che si chiama Sui Generis, formato da Charly García e Nito Mestre. La musica di quei tempi. Non so se abbiano continuato a cantare…»
«Chiche non conosce i nomi dei musicisti, signora Dolores, conosce solo le canzoni ritmate, cumbia e reggaeton che mettono alle feste per far ballare e divertire i ragazzi. Chiche balla le canzoni ritmate tenendo per mano Rosita. Rosita è paralitica, non può camminare, e quindi neanche ballare con i piedi. Quando è allegra, però, il suo viso e i suoi occhi ballano» dice Chiche mentre segue con lo sguardo un colibrì. «La canzone della pietra è molto emozionante, e a Chiche fa venire il solletico in gola, che è come piangere».
«Mentre ero sequestrata, la cantavo a mio figlio. Quando mi ascoltava si muoveva ancora e ancora, come se stesse ballando dentro la mia pancia. Ha un testo un po’ triste, è vero, ma mi ricorda la mia vita terrena e non si può scappare dai ricordi, tantomeno noi, è l’unica cosa che ci rimane…» afferma Dolores, con la voce rotta.
«Dolores, adesso abbiamo anche Chiche» ribatte Ernesto, un compagno di vecchia data.
«Sì» risponde Dolores, con la voce spenta, lontana «hai ragione Ernesto, hai ragione».
«È da tanto tempo che siamo prigionieri, senza contatto con il mondo là fuori, annoiati… mi piacerebbe molto ascoltare di nuovo la musica che ascoltavamo lassù. Cosa non darei per una canzone dei Beatles, una sinfonia di Beethoven, pensate un po’, mi andrebbe bene anche una canzone di Palito Ortega, o di Sandro. Un suono diverso da quello degli animali, del vento, della pioggia e dei passi indifferenti» continua Ernesto con la sua voce profonda.
«A Chiche piace molto la musica, signor Ernesto».
«Immagino, Chiche».
«La signora Dolores ha una voce bellissima, una voce che rende Chiche un po’ triste, come se gli esplodesse un condotto dentro la pancia e le bollicine rimanessero intrappolate in gola» commenta Chiche mentre appoggia la scopa sul vecchio albero di ombú.
«Si chiama malinconia» diagnostica Juan.
«Chiche non sa come si chiama, signor Juan, sa solo che sente qualcosa dentro, come un solletichino».
«Che forti i Sui Generis!» grida Fernando, euforico. «A me piace la canzone che si chiama… El tuerto y los ciegos, mi ricordo che la cantavo alla mia fidanzata Karina: “…Nuda di freddo e bella come ieri, così esatta come due e due sono tre…” come si elettrizzava, mi guardava estasiata. Che fine avrà fatto? Quante cose ci hanno portato via i nemici».
«Chiche, hai sentito qualche notizia? Com’è la situazione nel paese?»
«Signor Juan, Chiche non ha potuto ascoltare le notizie. Il televisore della sala da pranzo trasmette sempre i cartoni animati, e dopopranzo la signora Elsa guarda sempre quelle persone che la fanno piangere.»
«Sicuramente sarà una di quelle stupide telenovelas» commenta Juan, infastidito.
«La signora Elsa piange per quello che dicono le persone che vivono dentro il televisore. Chiche non ha mai pianto, non sa come piangere. Gli psicologi dicono che Chiche non piange per qualcosa che gli è successo da piccolo, che però non vuole ricordare».
«Chiche, caro, ricordare è molto importante, e te lo diciamo noi, che viviamo di ricordi».
«Signora Dolores, Chiche sa solo che alla mamma è successo qualcosa di brutto. Ma gli insetti che vivono dentro la sua testa non gli fanno ricordare molto».
«Tranquillo, è solo questione di tempo, caro Chiche. Non ti preoccupare, andrà tutto bene» aggiunge Dolores.
«Adesso pensa solo a Rosita, alla fattoria, alle voci di sotto e alle notizie da ascoltare per voi».
«Non dimenticartelo, la cosa migliore che puoi fare è reperire notizie e farcele avere il prima possibile. Devi chiedere che mettano il telegiornale in televisione e stare attento a ciò che dicono sul paese, sulla politica. Adesso, per noi, le informazioni sono la cosa più importante» dice Juan.
Chiche segue con lo sguardo un gruppo di galline che cercano di scappare dal gallo, ognuna da una parte diversa. Dalla cucina risuona una risata sguaiata, una risata pazza che attraversa le pareti, alla ricerca di una meta migliore.
«Il problema, signor Juan, è che Chiche è considerato un matto, ancora di più da quando il maestro di ceramica l’ha visto parlare con le voci di sotto. Il professore ha detto al dottore che Chiche parlava da solo e per questo adesso deve prendere mezza pastiglia azzurra in più, che rende il corpo più pesante e la lingua più dura, come se fosse incollata. Chiche ha raccontato al dottore che sottoterra vivono delle persone chiamate desaparecidos. Ma il dottore non crede a queste cose e ha detto che erano dovute alla malattia, che erano allucinanti».
«Al-lu-ci-na-zio-ni, Chiche, al-lu-ci-na-zio-ni. Che dire, le cose per noi non sono mai state facili, siamo abituati a combattere da svantaggiati».
«Juan, tranquillo, è normale. Siamo sepolti dove adesso c’è un centro di assistenza per persone diversamente abili, come credi possa reagire il medico quando un ragazzo ricoverato gli dice che parla con voci che spuntano fuori dal terreno? Abbi fiducia, io ci credo».
«È difficile avere fiducia, Dolores. Ho sempre fatto fatica e adesso che sono anziano ancora di più, con l’anima piena di rughe» risponde Juan, con la voce roca a causa del fango.
«Caro Chiche, ti chiediamo per favore di non parlare con nessuno, aspetta le nostre indicazioni».
«Sì, signor Fernando. Chiche capisce».
«Tanto, che parli o non parli, nessuno gli crederà».
«È ovvio che non gli credano, Juan. Per il momento limitiamoci alle notizie, poi vedremo come potrà continuare ad aiutarci. Inoltre, se parlerà ancora di noi gli aumenteranno di nuovo il dosaggio e dobbiamo proteggerlo, lui è la nostra unica speranza» aggiunge Dolores.
Chiche sbadiglia esageratamente, si gratta l’addome sporgente, prende la scopa e spazza di nuovo dove ha già spazzato, come se volesse raccogliere le ombre di ciò che ha già raccolto. Un ragno si insinua nella sua ragnatela, dove una formica cerca di scappare e altre rimangono impigliate. Due passeri litigano per una briciola di pane. Il cane Donald rosicchia un osso e ringhia. Chiche interrompe le pulizie e tira un profondo e affannoso sospiro.
«Tutto bene, Chiche?»
«No, signora Dolores, nessuno crede a Chiche e questo lo fa davvero arrabbiare. Non credono neanche all’alunno Guillermo che parla con il padre che nessun altro sente o vede. Guillermo, quando suo padre, che è morto, gli fa visita, è felicissimo. La gente crede solo a ciò che vede».
«Merda. Che sfortuna che abbiamo!»
«Che succede, Juan?»
«Dolores, da quando ci hanno fatto sparire, tanti anni fa… non siamo riusciti a metterci in contatto con nessun essere umano, e guarda con chi parliamo adesso. Siamo stati sequestrati, torturati, e ci hanno lasciato nel luogo peggiore in assoluto, sepolti nell’oblio, in un campo per disabili. Non c’è niente da fare, la fortuna non è proprio dalla nostra parte, e mi chiedi anche cosa succede».
«Non essere così duro, Juan».
«Donna, non essere così ingenua, a loro è andata a meraviglia. Il male prevale sempre».
«Perché dici così, Juan?»
«Quando i nemici se ne sono andati, questo ha smesso di essere un campo di detenzione clandestino e l’hanno convertito in una casa di cura. Ma qui non è venuto nemmeno un vecchio del cazzo. Il tempo è passato e non so perché i vecchi se ne siano andati e abbiano aperto una scuola per persone con problemi mentali. E ancora mi chiedi perché dico quello che dico. Anni e anni di attesa, e chi si mette in contatto con noi? Chiche. Non che abbia qualcosa contro di lui, poverino».
«Juan, Chiche è il prescelto. Per qualche motivo, che ovviamente non conosco, è lui e solamente lui che è riuscito a sentirci, non un anziano, un professore o un adulto con tutte le rotelle a posto, come avresti voluto tu. A volte, e questo avresti già dovuto capirlo, le cose accadono in modi diversi, nel bene e nel male. So che sembra strano, ma è così, credimi».
«Santo cielo, Dolores, non funzionerà mai».
«Sei sempre così pessimista, Juan, apri un po’ la mente» ribatte Dolores, stanca.
Chiche, accovacciato, cerca di non perdersi il filo del discorso, ma sente che le parole vengono divorate dagli insetti che vivono nella sua testa. Se la stringe e la scuote con forza, cercando di far girare la testa agli insetti. Ma gli insetti non si stordiscono.
«Non c’è altro modo, Dolores, puoi vedere anche tu quanto siamo stati fortunati. Prima avevo speranza, ecco perché la lotta, la militanza, e guarda come è finita… La speranza è una trappola mortale».
«Mi scusi, signor Juan, ma Chiche può essere d’aiuto. Chiche aiuta Rosita a spingere la sedia con le ruote e aiuta gli animali della fattoria, quando si ammalano, quando non hanno cibo o acqua, lo fa molto bene».
«Certo Chiche, non preoccuparti di quello che dice Juan, sei la persona giusta, ne sono sicura. Dopo tanti anni, sei l’unico che è riuscito a trovarci e sentirci. Non ascoltarlo, Juan è stanco e triste».
«Grazie, signora Dolores».
«Chiche, e cosa sei riuscito a scoprire dall’altro giorno, quando ti abbiamo chiesto di ascoltare le notizie?»
«Signor Juan, la televisione trasmetteva cartoni animati e anche le persone che fanno piangere la signora Elsa. Ma, al mattino, prima di fare colazione, Chiche ha chiesto notizie a un uomo che camminava per strada, vicino alla recinzione, portando a spasso il suo cagnolino; un uomo e un cagnolino che non avevano paura. Altre persone passano sul marciapiede di fronte alla recinzione perché pensano che gli alunni, da dentro, possano morderli. Ieri una signora ha detto al figlio di non toccare Chiche; il bambino è stato bravo e ha guardato Chiche, come per abbracciarlo, ma la mamma lo ha comunque allontanato dalla recinzione».
«E cosa ha detto l’uomo a cui hai chiesto le notizie?»
«Che stanotte potrebbe piovere» risponde Chiche alzandosi a fatica e guardando una farfalla gialla con macchie nere appollaiata sul manico della carriola.
«E a noi cosa cambia?»
«Juan, sii paziente» dice Dolores.
«Oh, e Chiche ha chiesto all’uomo che portava a spasso il cane se i nemici erano ancora lì, come Juan voleva sapere».
«E cosa ha detto?»
«L’uomo che portava a spasso il cane e che non aveva paura prima ci ha riflettuto su e poi ha detto che i nemici ormai se ne sono andati e che ora siamo nella bemocrazia».
«Forse era democrazia, Chiche?»
«Sì, è così, signora Dolores, Chiche a volte non capisce molto bene, perché ha una disabilità, anche se lieve, e mentre va alla fattoria, gli insetti che vivono nella sua testa si mangiano parti delle notizie».
«Che altro, Chiche?»
«Oh, e che c’è una presidente, ha detto il signore».
«Una donna al potere? Come si chiama la presidente, Chiche?»
«Chiche questo non lo sa, signor Ernesto».
«Bene, ma almeno non ci sono più i nemici, questa è la cosa più importante, non credi, Ernesto?»
«Sì, Dolores, questo potrebbe aiutarci».
«E dove sono, in prigione o in vacanza ai Caraibi?»
«Juan, se c’è la democrazia, i politici eletti avranno processato i colpevoli; probabilmente sono in prigione» risponde Dolores, mentre Chiche continua a contemplare la farfalla gialla che ora svolazza intorno al vecchio albero di ombú.
«Non so, il nostro paese è così strano che non ne sarei così sicuro».
«Finiscila, brontolone. Un po’ di speranza, su».
«Abbiamo vissuto in un mondo segnato dall’ingiustizia, in un paese senza palle, faccio fatica a credere che i nemici abbiano pagato per quello che ci hanno fatto. E, se effettivamente se ne sono andati, devono stare operando dall’esterno» dice Juan.
«Se i nemici che vi hanno nascosti sottoterra sono andati da qualche altra parte, allora le voci possono uscire e stare con Chiche, sopra».
«No, Chiche, purtroppo non è possibile».
«Chiche non capisce, signor Fernando. Chiche ha la testa pesante, a causa degli insetti e della mezza pastiglia azzurra».
«Non possiamo, Chiche».
«Chiche può scavare con la pala».
«No, non è compito tuo. Inoltre, non possiamo più essere come voi; come posso spiegartelo… siamo voci, solo voci».
«Signor Fernando, Chiche non capisce questa cosa del siamo solo voci».
«Il passare del tempo ci ha trasformati e non siamo più come quando vivevamo di sopra».
«Chiche fa fatica a capire, la sua testa è un po’ mangiata dagli insetti…»
«Chiche, so che ora è un po’ difficile per te, ma riuscirai a capire, è questione di tempo. Pensa a noi come a delle voci… come la musica che esce dalla radio. Ascolti la radio, Chiche?»
«Sì, signora Dolores, Chiche ascolta la musica che esce dalla radio e ascolta anche le persone che vivono dentro la radio».
«Pensaci così».
«La terra è la radio e le voci di sotto sono gli annunciatori» conclude Chiche, sorridendo.
«Esatto… Noi siamo sotto e siamo voci, voci che solo tu puoi sentire».
«E perché vi hanno lasciati laggiù?»
«Ottima domanda, Chiche. Ci hanno nascosto perché… è molto difficile da spiegare. Non ci volevano, la nostra presenza dava fastidio. La nostra lotta era diversa e per questo ci hanno rapiti, torturati e…»
«Tortugati?» chiede Chiche, disorientato.
«No, non tortugati, tor-tu-ra-ti. Deriva da tortura, che significa… Aiutami, Dolores».
«Che ci hanno presi e poi ci hanno fatto del male, Chiche, con l’elettricità, con le botte, con le parole brutte, in mille modi, per estorcerci informazioni, per farci cambiare le nostre idee, e non solo… Mi hanno anche tolto mio figlio appena nato e non ho più saputo niente di lui».
«E dov’è suo figlio, signora Dolores?» chiede Chiche mentre insegue con lo sguardo la farfalla gialla che si allontana verso il suo fragile destino di farfalla.
«Non lo so, Chiche, vorrei saperlo, vorrei tanto saperlo».
«Chiche può aiutare. Quando perde un pulcino lo ritrova subito, anche se a volte lo trova morto, schiacciato dall’alunno Nelson che non guarda dove va, perché quando si arrabbia corre come un pazzo. La signora Dolores deve uscire il prima possibile per cercare il suo bambino».
«Vorrei uscire, ma…»
«Chiche, Chiche!» grida Carmen dalla finestra della cucina.
«Chiche deve fare merenda e poi deve andare a lezione di educazione fisica».
«Va bene, Chiche, non preoccuparti, ti aspettiamo, come sempre, amico mio» dice Ernesto.
«Chiche, Chiche! La merenda…» insiste Carmen.
«La signora Carmen potrebbe arrabbiarsi. Non preoccupatevi, Chiche porterà presto notizie da fuori» dice allontanandosi.
Torna dall’oca, la solleva con cura e, appoggiandosela sulla pancia sporgente, la copre con il grembiule e ripercorre il sentiero fangoso.
Traduzione di Livia Natalucci. Il romanzo integrale ti aspetta ne Le voci di sotto