di Natalia Borges Polesso

È successo per pura disattenzione. Non ci avevo pensato, né architettato qualche stratagemma perché andasse a finire così. A dir la verità, non l’avrei nemmeno voluto.

Quando arrivai a casa quella mattina, sentii nell’aria una certa tensione. Ci pensai due volte prima di entrare in camera. Forse sarebbe stato meglio se in quel momento avessi semplicemente lasciato l’appartamento, la strada, la città, il paese, lasciato quella vita che avevo con te. Avevo però quella speranza ingenua che le cose potessero ancora funzionare. Quando ti trovai sveglia a letto, ricoperta di lettere e di foto, desiderai di aver scelto di non entrare, ma ormai era troppo tardi. Tu mi dicesti che non meritavo nessuno di quei ricordi ritagliati e incollati nei fogli colorati che stavano lì, in quell’album. Ingoiai ogni cosa che mi passava per la testa e pensai che alcune parole dette prima di questa lunga agonia avrebbero potuto evitare la sofferenza. Io non avevo passato la notte da sola. Lei sì. In quel momento, potevo solo pensare a quante notti avevo passato da sola, e quante doppiamente sola con lei al mio fianco. Ripenso oggi a quella conversazione che non c’è mai stata, e che ci avrebbe potuto risparmiare tanto dolore. Guardai le lettere e le foto sparse sul letto e capii che era finita lì, e che tutto quello che sarebbe seguito sarebbe stato solo un tentativo di creare ponti così scivolosi e consumati da non riuscire ad unirsi. Credo che fu lì l’ultima volta in cui ti guardai con amore, un amore doloroso, che non aveva nulla a che fare con quell’amore che ci eravamo inventate la prima volta che ci eravamo viste.

Mi avevi detto che non ne valeva la pena. E io avevo pensato, quale pena stavamo scontando? Di certo era troppo per i pochi crimini che avevamo commesso. Quella fu la prima volta in cui mi guardasti con risentimento. Non fu la mia prima volta, ma per te lo era. E dopo questo, tante lacrime. È difficile uccidere un noi. Abbiamo preferito lasciarlo morire. Di fame, di sete, di noia, di solitudine. E insieme al noi, un po’ di ciascuna di noi due. Ha funzionato, immagino. Morte senza diritto di entrare né in paradiso, né all’inferno. Ne è rimasta una creatura-Frankenstein, parodia anomala del volersi bene, non si può definire né come amore, né come odio, né come sofferenza, né niente, e vaga nel limbo di tutto quello che finisce per esaurirsi. Delle cose senza nome, che vengono buttate via così.

Traduzione dal portoghese di Matilde Agostini, Francesca Andreatta, Beatrice Bullita, Chiara Cavina, Elena Farneti, Beatrice Ferri, Annalisa Magnani, Domizia Margagnoni, Laura Marini Calvo, Beatrice Nania, Margherita Petrini, Letizia Senesi, Viviana Traversa, Anna Vignali. Per leggere il resto, fai clic su Ritagli per un album di fotografie senza di noi.

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