Nel 1296, un Marco Polo di mezza età si trovava sfortunatamente in prigione. Era stato catturato nel Mediterraneo orientale al timone di una galera veneziana da marinai rivali, della Serenissima Repubblica di Genova. Dato che le due repubbliche erano impegnate nella guerra di San Saba, tutto ciò era assolutamente inopportuno, soprattutto perché aveva a bordo una catapulta da assedio. La sorte di Marco Polo cambiò quando scoprì che il proprio compagno di cella, Rustichello da Pisa, era uno scrittore, ed era anche un’entusiasta ascoltatore delle storie dei viaggi di Polo nei misteri dell’Oriente. Si trattava di buona sorte, dato che rese famoso Marco Polo. Ed era una cattiva sorte, per la medesima ragione.

Scritte inizialmente come una guida per i mercanti in rapida crescita, le digressioni e le tangenti che componevano i quattro libri “Descrizione del mondo” erano molto affascinanti, ma scarsamente credibili. Divennero immensamente popolari, ma valsero a Polo il crudele soprannome “Il Milione” (l’uomo dal milione di bugie). Si mise in dubbio il fatto che avesse mai viaggiato, se non con la propria straordinaria immaginazione[4][5].

Tuttavia, il resoconto conteneva molte scoperte vere, insieme a esagerazioni, mezze verità e miti (“Quando questa visione venne al vescovo, che per lo calzolaio si dovea mutare la montagna”[6] ad esempio), uniti senza alcuna distinzione.  Ora possiamo riversare su Marco Polo il nostro sdegno per aver descritto sirene del deserto, colossali uccelli che mangiavano elefanti, stregoni pagani che controllavano le tempeste di sabbia, o per aver affermato di aver visto l’arca di Noè incagliata sulla cima innevata di una montagna. A quell’epoca, tutto ciò era lievemente più incredibile di quando affermava di aver visto rocce che prendono fuoco, denaro di carta, le montagne più alte del mondo, città dorate avvolte dalla seta più pregiata. In un’epoca viaggiare richiedeva mesi, o addirittura anni, i miti abbondavano nella terra tra le città. Più si andava lontano, più selvaggi erano i miti, e Marco Polo aveva attraversato il mondo conosciuto[7].

Nel suo percorso tortuoso, il racconto di viaggio di Marco Polo tocca tante strane città (Baudac, Samarca, Caracom) culminando nei palazzi opulenti dell’imperatore mongolo cinese Cublai Can, alla cui corte Marco Polo è rimasto ospite per diciassette anni. I ricordi dell’esploratore vanno da considerazioni commerciali (elenchi di manifatture e risorse naturali) a dettagli stravaganti: città in cui gli abitanti erano perennemente ubriachi, dove gli uomini mangiavano uccelli e cavalcavano cervi, dove i matrimoni erano combinati dai fantasmi e il sire beveva vino da coppe sospese in aria nel suo palazzo di marmo. Spesso Marco Polo aggiunge millanterie; utilizza l’espressione “nessuno poteva immaginare un cotanto…” e suggerisce che in realtà si sta limitando per paura di suscitare incredulità tra i lettori (“Egli fanno tali cose per opere di diavoli, che non si vuole contare in questo libro, peroché troppo se ne maraviglierebbero le persone”). Tutto ciò lo rendeva ancora più ridicolo. Oltre i propri stretti confini, il mondo era più straordinario di quanto immaginassero gli scettici. Cresciuto nell’apparentemente impossibile Venezia, un labirinto di canali e calli poggiati su palafitte nella laguna, Marco Polo non aveva di questi limiti. Le città immaginarie non rappresentavano una minaccia per chi era nato in una di esse.

Quando un libro lascia le amorevoli cure del suo creatore, è giustamente alla mercé dei lettori ma anche, se è abbastanza importante, di coloro che non l’hanno letto. Nell’era precedente alla stampa, i racconti di Marco Polo si diffusero ampiamente tramite il passaparola, con errori cumulativi che si accumulavano a invidie e illazioni. Le storie, già parziali, si trasformarono in mito. In primo luogo, accusare Marco Polo di aver inventato delle fantasie significa credere che la percezione e la memoria non siano in parte inventate. “Ho passato la mia vita a tentare di comprendere la funzione del ricordo,” dice il narratore nel film Sans Soleil di Chris Marker, “che non è l’opposto della dimenticanza, ma il suo rivestimento. Noi non ricordiamo. Riscriviamo i ricordi come riscriviamo la storia.” Vengono mantenuti frammenti di realtà, ma evolvono con il tempo fino ad adattarsi alla saggezza o alla fallacia del senno di poi e vengono abbinati a ricordi di sogni, pensieri e a ricordi di ricordi. Siamo narratori inaffidabili, persino per noi stessi.

La nostalgia non è quella di una volta. Ne Il lungo giorno finisce di Terence Davies, il regista ricorda una tranquilla scena famigliare a Natale, con un vecchio lampione e la neve in salotto. Non è accaduto in senso stretto, eppure non è una bugia[8]. Il lampione ricorre più volte, attraverso il fondo dell’armadio verso Narnia, in un bagliore di luce nella Londra vittoriana di Sherlock Holmes e Jekyll, l’impossibile coesistenza della notte e del giorno nella serie L’impero delle luci di Magritte[9]. Alla sua luce eterea, le cose che pensiamo di conoscere sembrano cambiare.

Tutte le grandi città immaginarie mescolano il reale al surreale. Sono alla deriva nei cieli ma, almeno momentaneamente, trattenute da un’ancora[10]. Nel romanzo epico cinese Il sogno della camera rossa, Ts’ao Hsüeh-ch’in scrisse “Dall’apparire l’essere, dall’esser l’apparire.  Dal nulla viene l’uno, dall’uno viene il nulla.”[11]


Dall’apparire l’essere, dall’esser l’apparire.  Dal nulla viene l’uno, dall’uno viene il nulla.

Appare sotto forma di iscrizione in un arco che porta verso il Regno dell’Illusione, ma la strada non è a due sensi. Lo stato di ambiguità tra reale e irreale lo approcciamo ancora con una certa misura di ostilità. Eppure il confine è conteso. Considerate il modo in cui le città si segnano in modo indelebile, il modo in cui i racconti di Meyrink, Kafka e Hašek sono stati plasmati dalle versioni di Praga in cui vivevano e come la stessa città sia ora plasmata dai loro racconti. La mente si popola di assassini che infestano i ponti[12] di San Pietroburgo, di gatti diabolici che camminano su due zampe per Mosca[13], di un Museo dell’Innocenza[14] a Istanbul, di invasori marziani che affollano le vie di Woking[15] e così via.

Nel giorno di Bloomsday, Dublino festeggia la propria ricreazione narrativa in un testo dedicato al giorno e alla città in cui Joyce aveva corteggiato la moglie per la prima volta. La città genera il testo che genera la città. Pur scrivendo per anni nel suo esilio continentale, Joyce affermava “Ho voluto dare una immagine di Dublino così completa che se un giorno la città sparisse all’improvviso dalla Terra, potrebbe essere ricostruita seguendo il mio libro.”[16]

Forse si trattava di Joyce stesso quanto di Dublino. Parlando del figlio, un giorno il padre di Joyce disse: “Se quel tipo fosse abbandonato nel bel mezzo del Sahara, si siederebbe, perdio, a farne una mappa”[17] Il creatore di mappe sarebbe un parziale creatore di miti. Un posto del genere, con i suoi personaggi mezzo inventati, una scrittura selettiva e la parzialità della prospettiva (o delle prospettive) sarebbe accurata o sarebbe un inganno, oppure descriverebbe come soggettivamente abitiamo tutte le nostre città? La verità è rifratta da tanti prismi e le nostre riflessioni sono vere e distorte come in una sala degli specchi. Tutte le città sono soggette all’effetto Rashomon. Anche il presupposto che le città siano semplici scenografie decade quando si considera l’architettura come narrazione[18]: il Viale delle Sfingi a Luxor, la Burrificazione del Mare di Latte ad Angkor Wat, la Colonna Traiana a Roma. In Notre Dame de Paris di Victor Hugo, Frollo afferma che il libro ucciderà l’edificio, “Le piccole cose conquistano le grandi”[19], un’idea affascinante, ma smentita dal fatto che tutte le città possono, e dovrebbero, essere lette.

Sarebbe stupido negare il valore della menzogna. Marco Polo è sempre stato destinato ad essere accusato, dato che era ciò a cui il pubblico era preparato. Davanti a uno spazio vuoto sulla mappa, ci rivolgiamo al fantastico. Non considerate solo i serpenti marini e gli “hic sunt leones” delle mappe antiche, ma le fattezze degli estraterrestri con cui abbiamo popolato i paesi lontani nella nostra era della ragione. Il creatore del primo testo di fantascienza giunto fino a noi (Storia vera), Luciano di Samosata giustificava l’onestà della disonestà, una qualità che condivideva con Marco Polo (con un cenno a Epimenide[20]), “Molti altri fecero anche così, e scrivendo come certi loro viaggi e peregrinazioni lontane narrano di fiere grandissime, di uomini crudeli, di costumi strani […]Onde anche a me essendo venuto il prurito di lasciar qualche cosetta ai posteri, per non essere io solo privo della libertà di novellare; e giacché non ho a contar niente di vero (perché non m’è avvenuto niente che meriti di esser narrato), mi sono rivolto ad una bugia, che è molto più ragionevole delle altre ché almeno dirò questa sola verità, che io dirò la bugia..”[21]

[4] Un testo-specchio a quello di Marco Polo è Viaggio intorno alla mia camera di Xavier de Maistre, in cui la cella di una prigione si trasforma in uno spazio vastissimo. In un mondo di menzogne molto più ingannevoli, vi sono poche figure storiche “derise ingiustamente” quanto Polo, come scrive Baudelaire in Del vino e dell’hashish.

[5] Un’altra teoria colloca Marco Polo in Persia per anni, mentre prende in prestito i racconti dei mercanti in viaggio, come suggerisce Simon Gaunt in Marco Polo’s Le Devisement Du Monde: Narrative Voice, Language and Diversity, p. 6.

[6] Marco Polo, Il Milione, Torino: Giulio Einaudi Editore, 1974, p. 29

[7] O perlomeno questo era ciò che pensavano gli storici occidentali.

[8] La forma del tempo: la storia dell’arte e la storia delle cose di George Kubler ci mostra che il tempo è molto più complesso e relativo rispetto a ciò che ci consente il nostro pensiero lineare.

[9] La mitica locandina di Bill Gold de L’esorcista è stata ispirata da questa serie.

[10] Si veda la leggenda del monastero di Clonmacnoise in cui una nave ultraterrena apparve improvvisamente e calò l’ancora su un altare (adattata da Seamus Heaney in Squadrature: Illuminazioni VIII ).

[11] The Dream of the Red Chamber: An Allegory of Love, Jeannie Jinsheng Yi, p. 19

[12] Scene da Delitto e castigo di Dostoevskij, che a loro volta riecheggiano il personaggio di Gogol Ivan Jakovlevic, che getta il Naso nella Neva da un ponte.

[13] Il Maestro e Margherita di Bulgakov, un avvertimento sotto forma di cartello stradale adorna lo Stagno dei Patriarchi di Mosca.

[14] Questo museo è stato creato a Istanbul contemporaneamente al suo doppio narrativo, entrambi ad opera di Orhan Pamuk.

[15] H.G. Wells. La guerra dei mondi.

[16] Citato in Ulysses by James Joyce, Jeri Johnson, Oxford World Classics

[17] Vico and Joyce, Donald Phillip Verene, p. 84

[18] Le storie e le interpretazioni spesso differiscono, da qui nascono i conflitti temporali nei siti sacri condivisi a Gerusalemme.

[19] p. X

[20] Epimenide, cretese, affermava “Tutti i cretesi sono bugiardi”, creando il paradosso che porta il suo nome.

[21] Luciano di Samosata – Di una storia vera. Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862) xxxxxxxxxxxxxx citato anche a p. 18 di Travellers’ Tales of Wonder: Chatwin, Naipaul, Sebald di Simon Cooke